lunedì 28 maggio 2012

Imago #4: La libertà in un abbraccio

In realtà, per precedenza ci sarebbero tante immagini che si sono affollate in questi quasi due mesi. Ma stasera è impellente fissare con le parole l'immagine "sconvolgente" ricevuta oggi. Premetto subito che seppur rimasticati e riadattati dal sottoscritto, le parole e i ragionamenti originali non sono miei ma sono un grande dono di suor Grazia Papola..

Questo è il sarcofago paleocristiano presente nella cripta della chiesa di S. Giovanni in Valle a Verona. Nella parte inferiore al centro c'è Gesù risorto che invia Paolo e consegna la parola a Pietro. Intorno ci sono 4 scene del Nuovo Testamento: da sinistra a destra la samaritana al pozzo, il centurione, l'emorroissa e... Giuda!

Sinceramente a tutto avevamo pensato vedendo il sarcofago ma non che quello fosse il bacio di Giuda. Cosa centra Giuda con una storia di salvezza? Cosa centra un episodio tanto negativo come quello del tradimento con tre incontri belli e toccanti come gli altri tre?

Certo sono tutte persone a cui manca qualcosa, che hanno desiderio di qualcosa di più grande. Sono tutte persone che in qualche modo trovano ristoro e guarigione in Gesù. Ma Giuda... Giuda proprio non mi torna. Giuda è quello che viene messo in fondo all'inferno da Dante, il peggiore dei traditori.

Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell'uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito! Meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l'hai detto». (Mt 26, 20-25)

Qui si gioca tutto e da oggi per me queste parole non saranno più le stesse.

Gesù innanzitutto manda a Giuda un ultimo avvertimento. La parola usata, "Guai", è la stessa usata dai profeti nell'antico testamento quando Dio si rattrista per chi lo abbandona, è l'avvertimento dato dai profeti al popolo infedele. Gesù usando parole forti prova a salvare Giuda dall'abisso in cui si sta infilando. Quel "Guai" non è una condanna (come l'avevo sempre inteso io), ma è un omatopeico urlo di dolore per implorare un'ultima volta l'amico di fermarsi. Ma come nel giardino dell'Eden, come in tutta la storia della salvezza, l'uomo è libero di scegliere. E Giuda di fronte all'avvertimento, fa il finto tonto compiendo una scelta chiara.

A questo punto, conscio della scelta di Giuda, arriva la perla di Gesù.

Per capirla fino in fondo dobbiamo chiarirci bene cosa intendiamo per tradimento, Il tradimento è approfittare della fiducia di un amico e, nelle tenebre, di nascosto, tramare per fargli del male grazie proprio a questa fiducia riposta in noi. Tuttavia se il tradimento viene sbandierato alla luce del sole perde tutta la sua potenza. Un tradimento scoperto in anticipo non è più tale. Gesù smaschera Giuda prima che questi vada a consegnarlo come a dirgli: «So che vuoi tradirmi, ti ho sgamato. A questo punto, caro Giuda, non sei più tu a tradirmi, sono io che scelgo di consegnarmi, di donarmi per salvare l'umanità» È pazzesco. Smascherandolo, Gesù perdona Giuda per quello che sta facendo. «Non importa che il tuo tradimento sia il più grande tradimento della storia. Non importa caro Giuda. Puoi ancora ripartire. Come può ripartire Pietro a cui ho appena raccontato la storia del gallo. Anche se mi tradisci per te c'è possibilità di riscatto.»

Quando Giuda torna con le guardie il messaggio di perdono viene completato e rafforzato da quell'abbraccio e da quel bacio raffigurati in quel sarcofago che ha più di 1700 anni. «Ti perdono. Adesso capisci cosa intendevo con non c'è amore più grande che dare la vita per i propri amici?» L'ultimo gesto di Gesù verso Giuda è un gesto di perdono che ripassa la palla a lui. Giuda è di nuovo libero di scegliere. Gesù tenta addirittura di cancellare il suo senso di colpa. Purtroppo per Giuda è un amore troppo grande, incomprensibile. Tenta di riparare come può restituendo le monete, e al rifiuto dei sacerdoti, il campo di sangue è l'unica soluzione.

A conclusione, da grande fan Potteriano, pur sapendo di rischiare la blasfemia, non posso non sottolineare l'analogia di tutto ciò con quanto accade sulla torre di Astronomia alla fine del sesto libro. Ma d'altra parte, come vado dicendo da qualche tempo, Harry Potter forse è uno dei più grandi libri cristiani degli ultimi anni.

lunedì 9 aprile 2012

Imago #3: AUTORità o AUTORevolezza


I giovani devono obbedire

Obbedire in nome di che cosa?

L'immagine questa volta non è particolarmente ispirata. Anzi devo dire la verità è un immagine "rubata" al film di Alice Rohrwacher, Corpo celeste, che mi ha particolarmente segnato negli ultimi mesi.

In una scena del film, il figlio di una delle catechiste giocando fa cadere alcuni soprammobili. A quel punto il tuttofare della parrocchia se ne esce con: "I giovani devono obbedire". La mamma del piccolo lo prende in braccio e risponde a tono: "Obbedire in nome di che cosa?".

Negli ultimi giorni mi è capitato di riflettere molto sul concetto di autorità. Da più parti sento adulti lamentarsi che questi adolescenti non riconoscono più l'autorità, che non hanno più rispetto. E ancora, una mia amica si lamentava che alla via Crucis di mercoledì santo qualcuno dietro di lei commentava la predica del vescovo. E lei: "Non c'è più rispetto!".

Invece io dico: "Per fortuna!".

Per secoli il principio di autorità è stato l'oppio dei popoli, altro che la religione. Siccome questa cosa l'ha detta Aristotele/la Bibbia/il parroco/Dostoevskij/il farmacista/il maresciallo io ci credo. A prescindere dal messaggio: poteva essere la castroneria più grande di questa terra ma siccome io mi inchino ai sapienti ci credo lo stesso. Quanti morti e quanti danni ha fatto questo modo di pensare: basta guardare al povero Galileo, che si è dovuto rimangiare tutto perché qualche fanatico prendeva la Bibbia come fosse un libro di fisica o al povero Renzo quando va da Azzeccagarbugli.

Per fortuna cari genitori, cari parroci, cari professori ora i giovani non ci ascoltano più a priori.
Finalmente la famiglia, la scuola, la Chiesa sono chiamate ad essere credibili per essere ascoltate.
Finalmente siamo chiamati ad essere ascoltati non per il ruolo che abbiamo ma per quello che diciamo. È la volta buona che finiremo di nasconderci dietro i paletti delle scuse e delle nostre sicurezze come abbiamo fatto finora.
Finalmente la Chiesa inizierà a pensare di più a quello che dice alla gente piuttosto di pensare al pizzo della tovaglia dell'altare. Magari la smetterà anche di fare invettive contro i laureati che abbandonano le nostre parrocchie: forse le verrà il dubbio che la cosa non avviene per scarsa umiltà dei laureati quanto piuttosto per estrema ignoranza di una Chiesa che mediamente nelle sue prediche domenicali non sa parlare a chi ha più di una terza media?
Finalmente la scuola potrebbe iniziare ad avere professori che lo fanno per passione e non per frustrante ripiego di carriere fallite, universitarie o professionali.

Perché non si può più tornare indietro... Perché il re è nudo...

I giovani hanno ancora sete di infinito e rispettano immensamente chi ha il coraggio di incontrarli veramente.
Lo testimonia Benigni con la sua divina commedia, lo testimoniano i corsi ad Assisi sempre strapieni di gente, lo testimoniano don Tonino Bello, don Lorenzo Milani, padre Pino Puglisi.
Però richiede un impegno da parte di noi adulti di conquistarcela questa autorevolezza con i contenuti e non con l'autorità.

Chiudo con due passi evangelici che mi sembrano ben riassumere questo passaggio epocale (e poi si dice che il vangelo non è attuale). Il primo dal primo capitolo del vangelo di Giovanni:
Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: «Seguimi!». Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret». Natanaele gli disse: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaele gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!».
Gesù non viene riconosciuto come profeta per la sua provenienza (anzi) o per il suo ruolo di Maestro ma per quello che dice. E ancora nel vangelo di Luca, cap. 4.
Poi scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità.
Forse molta parte della Chiesa avrebbe bisogno di riprenderlo in mano questo vangelo...

martedì 27 marzo 2012

Imago #2: l'alce e lo scoiattolo



Saranno i libri di Alessandro (D'Avenia), sarà la primavera,  ma da qualche settimana ho l'immaginite acuta. Mi viene da spiegare tutto per immagini. Più di qualcuno su Facebook si è allarmato e alla prima volta che mi ha visto ha esordito subito con un "Ma sei sicuro che vada tutto bene?" Sì va tutto bene, semplicemente è un periodo in cui le immagini comunicano meglio delle parole e sento la necessità di fissarle da qualche parte.


Scrivere su facebook però è come essere un alce in mezzo alla strada. Tu scrivi il tuo stato per te e gli altri se lo trovano in mezzo alla bacheca e non possono decidere di ignorarlo: o lo schivano o ci vanno addosso. Facebook da questo punto di vista non ti lascia scelta. Solo che io non volevo essere un alce... non mi interessava entrare nella vita degli altri di prepotenza e obbligarli a sorbirsi le mie pare. Quello che scrivevo era soprattutto per me... Erano intuizioni, piccole gioie, passettini conquistati con grande fatica. Che non possono non essere raccontati. Ma che d'altro canto non devono nemmeno irrompere senza permesso nella vita degli altri.


Volevo piuttosto essere come uno scoiattolo tra i rami. Non di quelli che a Londra vedi in ogni dove e tra un po' vengono a farti l'ordine delle noccioline in grembo.
Pensate a uno di quelli scoiattolini nostrani, un po' bastardi che se non lasci la macchina (che nel frattempo ha schivato la povera alce) e non ti addentri nel bosco non li vedi manco a morire. Anzi anche quando sei lì davanti se non aguzzi la vista li confondi tra i rami.

Così è nato questo blog: uno scoiattolo che vuole evitare il più possibile di diventare alce. Un blog per fissare qualche pensiero. Più per me che per il mondo. Se qualcuno poi avrà voglia di leggerlo, non sarò io a impedirlo.  Il tutto in piena libertà.

Imago #1: l'altalena

La vita è come andare in altalena: per andare in alto devi prendere i tempi e aspettare il tempo giusto per fare ogni cosa.

È tutta una questione di ritmo... E uno che il senso del ritmo proprio non ce l'ha può ben dirlo. Il respiro, il mare, il vento tra i rami: tutto ciò che è vita si muove a tempo. A volte è un tempo difficile da prendere, che non capisci al primo colpo.

È proprio come andare in altalena. Le prime volte che ci sono andato da piccolo proprio non capivo come funzionava, non capivo come facevano gli altri a spingersi da soli così in alto. Poi ho capito che il trucco era prendere il tempo, allungare e piegare le gambe a tempo giusto. Prendere il tempo di permetteva di sentire l'aria in faccia, quella sensazione di libertà e di leggerezza che non è vertigine ma voglia di volare.

Con la vita è lo stesso. Ci sono momenti in cui devi capire che hai cambiato direzione e, se anche avevi programmato di restare ancora un po' con le gambe piegate, devi decidere al volo se distenderle, seguire il movimento e andare più in alto oppure restartene con le gambe piegate e, inesorabilmente, fermarti.

Ci sono sere così: in cui avevi programmato tutt'altro, in cui avevi programmato di tornare a casa presto perché hai un sacco da fare e il giorno dopo comunque la sveglia suona sempre alla stessa ora. E poi invece capisci che il centro della tua vita è lì, in quella chiacchierata all'uscita da un teatro con un'amica che non vedevi da un sacco di tempo.

E allora chi se ne importa delle mille cose da fare: allunghi le gambe, slanciandoti in avanti, in quel volo che toglie il fiato.