lunedì 9 aprile 2012

Imago #3: AUTORità o AUTORevolezza


I giovani devono obbedire

Obbedire in nome di che cosa?

L'immagine questa volta non è particolarmente ispirata. Anzi devo dire la verità è un immagine "rubata" al film di Alice Rohrwacher, Corpo celeste, che mi ha particolarmente segnato negli ultimi mesi.

In una scena del film, il figlio di una delle catechiste giocando fa cadere alcuni soprammobili. A quel punto il tuttofare della parrocchia se ne esce con: "I giovani devono obbedire". La mamma del piccolo lo prende in braccio e risponde a tono: "Obbedire in nome di che cosa?".

Negli ultimi giorni mi è capitato di riflettere molto sul concetto di autorità. Da più parti sento adulti lamentarsi che questi adolescenti non riconoscono più l'autorità, che non hanno più rispetto. E ancora, una mia amica si lamentava che alla via Crucis di mercoledì santo qualcuno dietro di lei commentava la predica del vescovo. E lei: "Non c'è più rispetto!".

Invece io dico: "Per fortuna!".

Per secoli il principio di autorità è stato l'oppio dei popoli, altro che la religione. Siccome questa cosa l'ha detta Aristotele/la Bibbia/il parroco/Dostoevskij/il farmacista/il maresciallo io ci credo. A prescindere dal messaggio: poteva essere la castroneria più grande di questa terra ma siccome io mi inchino ai sapienti ci credo lo stesso. Quanti morti e quanti danni ha fatto questo modo di pensare: basta guardare al povero Galileo, che si è dovuto rimangiare tutto perché qualche fanatico prendeva la Bibbia come fosse un libro di fisica o al povero Renzo quando va da Azzeccagarbugli.

Per fortuna cari genitori, cari parroci, cari professori ora i giovani non ci ascoltano più a priori.
Finalmente la famiglia, la scuola, la Chiesa sono chiamate ad essere credibili per essere ascoltate.
Finalmente siamo chiamati ad essere ascoltati non per il ruolo che abbiamo ma per quello che diciamo. È la volta buona che finiremo di nasconderci dietro i paletti delle scuse e delle nostre sicurezze come abbiamo fatto finora.
Finalmente la Chiesa inizierà a pensare di più a quello che dice alla gente piuttosto di pensare al pizzo della tovaglia dell'altare. Magari la smetterà anche di fare invettive contro i laureati che abbandonano le nostre parrocchie: forse le verrà il dubbio che la cosa non avviene per scarsa umiltà dei laureati quanto piuttosto per estrema ignoranza di una Chiesa che mediamente nelle sue prediche domenicali non sa parlare a chi ha più di una terza media?
Finalmente la scuola potrebbe iniziare ad avere professori che lo fanno per passione e non per frustrante ripiego di carriere fallite, universitarie o professionali.

Perché non si può più tornare indietro... Perché il re è nudo...

I giovani hanno ancora sete di infinito e rispettano immensamente chi ha il coraggio di incontrarli veramente.
Lo testimonia Benigni con la sua divina commedia, lo testimoniano i corsi ad Assisi sempre strapieni di gente, lo testimoniano don Tonino Bello, don Lorenzo Milani, padre Pino Puglisi.
Però richiede un impegno da parte di noi adulti di conquistarcela questa autorevolezza con i contenuti e non con l'autorità.

Chiudo con due passi evangelici che mi sembrano ben riassumere questo passaggio epocale (e poi si dice che il vangelo non è attuale). Il primo dal primo capitolo del vangelo di Giovanni:
Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: «Seguimi!». Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret». Natanaele gli disse: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaele gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!».
Gesù non viene riconosciuto come profeta per la sua provenienza (anzi) o per il suo ruolo di Maestro ma per quello che dice. E ancora nel vangelo di Luca, cap. 4.
Poi scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità.
Forse molta parte della Chiesa avrebbe bisogno di riprenderlo in mano questo vangelo...