sabato 28 settembre 2019

Imago #8: Sui cambiamenti climatici (ovvero La teoria del giustospazioso)

Da un po' di anni mi interrogo anche io sui miei stili di vita e i cambiamenti climatici, soprattutto per quanto riguarda il tema della mobilità (lo so, ce ne sarebbero molti altri ma intanto partiamo da qui).
Tutto iniziò nel 2013 quando la mia povera Polo finì ingloriosamente la sua carriera in un incidente in autostrada di ritorno dall'ufficio ad Altavilla Vicentina. Nel mese che seguì valutai seriamente di coprire i 45km che mi separavano dal lavoro con i mezzi pubblici. La comparazione fu impietosa: si passava da 30-35 minuti con l'auto a 2 ore di bici+treno1+treno2 (o bus) + 6km di passeggiata. Potevo io rinunciare a 4 ore della mia vita ogni giorno? Già era dura sacrificarne una... Così comprai la fidata 208 ma iniziò a frullarmi nella mente la domanda stile Cose dell'altro mondo: come cambierebbe la mia vita se domani il petrolio di colpo finisse?

E un po' alla volta iniziai ad accorgermi di come la nostra vita sia tutta modellata sul fatto che gli spostamenti delle persone e delle merci sembrano non costare niente.
  • Lavoriamo a 30-50-60-70-100 km di distanza
  • Nei paesi non esistono più le botteghe o molti servizi essenziali. Per fare la spesa dobbiamo andare nei grandi centri commerciali accessibili facilmente dalle tangenziali e con grandi parcheggi. Salvo poi perdere gran parte del risparmio nella benzina bruciata per arrivarci.
  • La stessa cosa vale per i cinema: da ragazzo prendevo il bus e potevo scegliere tra Arcobaleno, Astra, Quirinetta, Supercinema, Concordi, Altino... La stessa cosa al tempo dei miei genitori negli anni '50. Ora per vedere un film bisogna prendere la macchina e andare nei multisala.
  • Iniziamo a mangiare le pesche a marzo perché ce le facciamo arrivare dalla Spagna. Per non parlare della simpatica uva dicembrina proveniente dal Sudafrica
  • Ordiniamo su Amazon qualsiasi cosa incuranti di come quella merce poi arrivi a noi nel giro di 1 giorno con Prime. Salvo poi stramaledire i camion che occupano fissa la prima corsia dell'A4.
Che cosa ha portato a rimpiazzare i negozi di paesi con i centri commerciali? Come mai i multisala hanno sostituito i cinema cittadini? Nel 1800 sicuramente i nostri bisnonni non mangiavano la frutta spagnola perché sarebbe arrivata bella che andata...
La risposta è che è conveniente, si fanno più soldi, è il libero mercato baby.
Più ci penso e più mi immagino il libero mercato (e il capitalismo) come un giustospazioso, uno degli animali fantastici di Newt Scamander. Si allarga e riempie tutti gli spazi. 
È una balla quella che il mercato si autoregola. Se nel tempo non fossero state introdotte delle regole, i lavoratori lavorerebbero ancora 14 ore al giorno, negli alimenti avremmo ogni sorta di pesticidi e i CFC si mangerebbero ancora l'ozono, altro che coscienza delle aziende.

Sta ai nostri governi pertanto imporre delle regole che limitino o rendano antieconomico questo sfruttamento sregolato del pianeta (con conseguenti emissioni di CO).
Sta ai governi investire veramente nei mezzi pubblici. Ero al primo anno di università che iniziarono i lavori per la metropolitana di superficie tra Padova-Venezia-Treviso-Castelfranco. 20 anni dopo non si sa ancora se e quando finiranno. E intanto tra Bonn, Colonia, Leverkusen e Dusseldorf già nel 2005 c'era un treno ogni 10 minuti.


Noi nel frattempo possiamo fare delle spese oculate controllando da dove arrivano frutta e verdura, possiamo limitare al minimo l'uso dell'automobile magari andando al supermercato più vicino, possiamo evitare gli acquisti impulsivi in rete. E mille altri accorgimenti, anche solo restando nel grande tema della mobilità di merci e persone.
E possiamo rompere le scatole in piazza, facendo sentire la nostra voce. Per questo un grande grazie ai ragazzi dei Fridays For Future. Ricordando loro che però alla protesta va accompagnato un impegno concreto.

domenica 19 maggio 2019

Imago #7 (many years later): w FACEBOOK, ʍ FACEBOOK

Piccola premessa doverosa:

Non lodo Facebook a priori. Verso Facebook ho piuttosto una posizione critica dovuta alla poca chiarezza di come funzionino gli algoritmi e a casi come la Brexit (https://www.agi.it/…/perche_facebook_minac…/news/2019-04-21/). A parte questo lo ritengo uno strumento importante per la mia vita. Su Facebook io non sono interessato alle vite degli altri (cit.) Non passo le giornate a guardare foto personali (a meno che non siano di persone pazzesche con storie pazzesche come Enrico Orlando o Emanuele Canton) ma Facebook è per me fonte di informazione, divertimento o ispirazione soprattutto tramite articoli di giornali, blog, ecc.

Mi piace quello che scrivi!

Partiamo dall'episodio. Ieri sera mi è successo per la terza volta (in centro a Padova, in Consiglio Diocesano, alla festa del patronato) nel giro di un mese di rivedere delle persone che non vedevo da mesi se non anni e alla domanda di rito: "Come stai? Come va?" sentirmi rispondere: "Bene bene. Sai, anche se non ci sentiamo, ti seguo sempre su Facebook e mi piace un sacco quello che scrivi e condividi"
Sono persone con cui ho legami profondi e con cui in passato magari ho condiviso molto (nel senso originario e non informatico del termine) ma che per lontananza, cambi di ritmi di vita, ecc. non riesco più a sentire come anni fa.
Mi ha fatto molto strano. Da un lato mi ha fatto piacere: è stato come scoprire un filo, una connessione. Una specie di sguardo amorevole e silenzioso di cui non mi ero mai reso conto.
Dall'altro mi sono veramente stupito perché, a differenza dei ragazzini a caccia di like, io non scrivo o condivido per cercare approvazione, ma con un senso di "restituzione" (vedi la premessa). "Quell'articolo, quell'immagine, quella storia, ha fatto del bene alla mia vita. Può averlo fatto in vari modi: facendomi ridere, facendomi piangere, indignandomi, ricordandomi episodi, incuriosendomi. E per questo lo ricondivido pensando possa far bene anche a qualcun altro".
Quando lo faccio però non penso a quanti leggeranno: lo metto lì e fine della storia. Anche perché a causa di quell'algoritmo oscuro e misterioso di Zuckerberg va a sapere tu dove andranno a finire quelle parole. È come lasciare un palloncino con il bigliettino o un messaggio in una bottiglia.
E a volte mi stupisco di dove vada a finire il palloncino: mi stupisco che magari persone conosciute nell'ambito dello sport mi mettano un like su un articolo di politica; oppure colleghi di lavoro che leggono e commentano articoli di religione...

Senso unico? Anche no!

A conclusione di tutto questo discorso mi sono reso conto che spesso ci limitiamo solo a leggere, magari mettere qualche like e stop perché... è comodo! Se commentiamo è spesso perché abbiamo prurito alle mani e non riusciamo a stare zitti.
Invece mi sento di fare un piccolo appello a chi è arrivato in fondo a questo pippone. Commentiamo portando anche semplicemente il nostro punto di vista, non solo la nostra indignazione o soddisfazione. Facciamo diventare anche questo uno spazio vero di confronto e crescita.
D'altra parte come tutti quelli della mia generazione si sentono dire da quando erano piccoli (e allora si parlava di TV): non è lo strumento ad essere buono o cattivo, ma è l'uso (o l'abuso) che se ne fa ad essere buono o cattivo.